A scuola di economia

 

Giusto per non farci mancare niente, ne abbiamo anche per Obama: anche lui dovrebbe ripassare un po’ di economia. Il senatore dell’Illinois ha infatti presentato, qualche mese fa, un disegno di legge chiamato abbastanza enfaticamente “Patriot Employer Act“, con l’obiettivo di difendere i lavoratori americani dalla concorrenza dei Paesi in via di sviluppo.

Se approvata, la legge prevederebbe sgravi fiscali per le aziende che:

 

  • non diminuiscano la quota di lavoratori americani a favore di quelli stranieri, e mantengano gli impianti negli Stati Uniti
  • paghino un salario minimo superiore a quello attuale
  • prevedano piani pensionistici e assicurativi per i loro impiegati
  • mantengano un atteggiamento neutrale nei confronti della scelta di iscriversi a un sindacato

 

Questi sono i punti salienti della proposta. Purtroppo questa si dimostra assolutamente inadeguata a combattere le sfide lanciate dai Paesi emergenti come la Cina e l’india all’economia occidentale. Per diversi motivi: il primo punto è inapplicabile, le aziende americane appalterebbero il lavoro ad aziende estere e i lavoratori non sarebbero formalmente dipendenti della casa-madre. La risposta dei datori di lavoro all’innalzamento del salario minimo sarebbe semplicemente una riduzione delle assunzioni. Anche l’aumento delle spese “accessorie” di previdenza sociale avrebbe lo stesso effetto sul costo del lavoro, e quindi sull’occupazione. Solo l’ultima proposta non avrebbe conseguenze negative, anzi sarebbe giusto che ognuno fosse libero di scegliere se aderire o meno a un sindacato.

Questa proposta segue la strada protezionistica additata da molti in occidente come la via per la salvezza dall’invasione orientale (in Italia dal nostro prossimo Ministro dell’Economia Tremonti). Ma è a mio avviso quanto di più sbagliato si possa fare: il protezionismo non serve a nessuno, e il processo di integrazione economica mondiale sembra destinato ad essere inarrestabile. L’unica risposta positiva che possiamo dare alla delocalizzazione delle attività produttive è la riconversione delle nostre economie.

In Asia producono a ritmi folli? A costi irrisori? Bene, lasciamo che lo facciano, se sono più bravi di noi. Noi dovremo fare quello che loro non hanno ancora, cioè l’altra parte del processo produttivo: innovazione, ricerca, high-tech, design, creatività: in una parola, specializzazione. Per fare questo ci vogliono infrastrutture, investimenti, ma soprattutto una diversa mentalità. Ci vorrebbe anche del tempo, per metabolizzare il cambiamento, ma non ne abbiamo, vista la velocità con la quale crescono le economie orientali.

[via lavoce.info]

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